9 novembre 2011

Der weg durch den Fisch

Jindro Sustr


Sono passati 30 anni dal giorno in cui Koller e Sustr riuscirono a superare le placche del Pesce e un anno dal mio primo tentativo fatto con Francesco che si era concluso nella nicchia. Da quel 1981 le ripetizioni sono sempre più numerose, probabilmente non perchè il livello medio si sia effettivamente alzato ma perchè la percezione delle reali possibilità sì è fatta largo in un numero crescente di arrampicatori; nonostante questo e nonostante anche il fatto che oggi sia oggetto di confronto continuo con le prestazioni sportive (la prima onsight,la prima invernale, la prima in giornata, la prima freesolo), percorrere Attraverso il Pesce resta un'esperienza al limite, sotto molti aspetti.


La parete d'argento è fatta di onde, abissi e pericolosi momenti di bonaccia. Per la sua omogeneità e impossibilità ad essere decifrata a lungo raggio ti costringe alla dedizione del dettaglio: i buchi per le dita e le rughe per i piedi, anzi la loro assurda combinazione, è il rebus che occupa costantemente la mia mente.
La via è stranamente graduale: i primi 11 tiri sono accessibili e le difficoltà aumentano man mano lasciandoci divertire e attirandoci come un canto di sirena sempre più verso l'alto.





Il primo 7a in traverso mi dà la sveglia ma è ancora un tiro atipico: come l'anno scorso il passaggio d'ingresso non mi riesce e Marco prende il mio posto. Poi ancora una placca difficile da leggere, ma soprattutto che impedisce allo sguardo di capire quali saranno le reali difficoltà di questo viaggio.
Siamo in sosta e davanti a noi c'è il diedro svaso. Alla fine non si dimostrerà il tiro tecnicamente più impegnativo, ma sicuramente il più affascinante. Venti metri di placca verticale sormontata da un'onda ad arco che va a chiudersi verso destra fin dentro al Pesce: se la sapremo cavalcare potremo finalmente entrare nella balena e iniziare il nostro viaggio di due giorni verso la cima.


Il diedro svaso

L'alba sembra non arrivare più; sono seduto nella stessa posizione da 7 ore e ho il culo bagnato dall'acqua che cola dalle pareti della nicchia. Marco è steso nel sacco a pelo, sembra star bene; cerco di immedesimarmi col pensiero nella sua posizione per ricavarne comodità, ma non funziona. Sbatto le mani sulle gambe per riscaldarle, mi sposto di cinque centimetri per illudermi di cambiare situazione, ma è sempre la stessa. Mi alzo per muovere le gambe: posso fare un tragitto di tre metri e mezzo da una parte all'altra e approfitto per pisciare; le scelte sono due: su Fram al centro o su variante Italia dalla mia posizione. E' sempre notte fonda e sono nel dormiveglia.
Improvvisamente, in un tempo che mi sembra un istante, arriva la luce, Marco si sveglia e mangia i biscotti, mette via il sacco a pelo, piscia e si prepara il materiale e mi ripete più volte una tattica del tipo chi parte primo con i prusik arriva su stanco quindi fa sicura o chi deve scalare il tiro deve essere caldo quindi meglio faccia i prusik per secondo quindi chi parte? ...sono ancora seduto e non ci capisco niente. Parte Marco con i prusik e anche per il tiro successivo.



In nicchia


Il peso di restare in sosta e l'ansia che il tiro dopo tocca a me. Non ce la faccio, mi sento prosciugato. La testa ha girato troppo, si è arrovellata su come trovare un pensiero per arginare il senso di vuoto e la paura di cadere, anzi la paura di non sapere dove cadere. Qui, a differenza del mare non si affonda se si sbaglia, ma si cade e cadere non è un istante, ma un breve lasso di tempo dove la mente ha sufficiente tempo per capire ma non abbastanza per reagire. Nel caso devi solo aspettare che tutto finisca e ti fermi. Continuo a dirmelo ma non basta.
Quello che è chiaro è che siamo qui per provare, con ostinazione ma sempre sul limite del fallimento; il tentativo è quello di eliminare la paura con metodi improvvisati per attraversare quel mare piatto ma feroce dove ogni buco può essere la nostra isola di tranquillità o, al contrario, la più pericolosa scoperta.





Ho discusso spesso, giorni dopo, sulla necessità per alcuni di percorrere questa via totalmente in libera come unico modo etico di scalata contemporaneo. Ma credo che questo sia solo uno dei diversi atteggiamenti igienisti di chi lascia la mente a distrarsi davanti alle riviste, destinato a cambiare col tempo (e con le riviste). Il mio Pesce non è stata una prestazione sportiva (inclassificabile dopotutto) perchè attraversare è sinonimo di vivere e nella vita non credo nella competizione.
"Che si avverino i loro desideri, che possano crederci e che possano ridere delle loro passioni. Infatti ciò che chiamiamo passione in realtà non è energia spirituale, ma solo attrito tra l'animo e il mondo esterno; e soprattutto che possano credere in se stessi, e che diventino indifesi come bambini, perché la debolezza è potenza e la forza è niente" dice lo Stalker di Tarkowskij, e mi ripete la balena nel dormiveglia.



1 commento:

  1. Complimenti anche per l'azzeccato riferimento ad Andrei Tarkovskij...

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